Lunedì XXIX Settimana del Tempo Ordinario
Ef 2,1-10 Sal 99 Lc 12,13-21
Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, memoria
Da cosa dipende la nostra vita? Più concretamente, cosa pensiamo ci possa dare la felicità, la realizzazione? Forse non rispondiamo “ciò che ho”. Ma cosa dice di noi il modo in cui viviamo?
L’uomo della parabola ragiona e parla “tra sé”. Non c’è spazio per nessun’altro: nessuno di cui curarsi, nessuno cui fare un dono, nessuno da ringraziare. Se la mia vita dipende da ciò che possiedo, non c’è posto per nessun’altro eccetto me stesso. Ma “anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. “Siamo infatti opera [di Dio] – ricorda san Paolo – “creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.
Riconoscere che all’origine della nostra vita e di ogni bene c’è un dono che abbiamo ricevuto, segno concreto della bontà di Dio per noi, ci toglie dal centro e ci rimette al nostro posto. Siamo creature, siamo figli, riconoscerlo ci rende più umili, e quindi più grati e più felici, perché più capaci di gratitudine e gratuità.
…E allora, da chi dipende la mia vita?
Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi.
Dalla Regola non bollata [FF 49]
E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene.