Mercoledì, I Settimana del Tempo ordinario
Eb 2,14-18 Sal 104 Mc 1,29-39
Secondo la legge ebraica, i sacerdoti non potevano avere contatto con la carne, con il sangue, con i defunti: impurità che loro, mediatori tra Dio e gli uomini, non potevano contrarre. Nella parabola del buon samaritano sappiamo infatti che il sacerdote e il levita passano oltre e non toccano l’uomo ferito. La lettera agli Ebrei ci dice oggi che Gesù è sacerdote, ma in modo del tutto nuovo. Quante volte noi, per distinguerci, prendiamo le distanze dagli altri, cerchiamo di non “confonderci” con ciò che ci sembra misero, banale, forse nell’illusione (o presunzione) di essere migliori. Gesù viene nel mondo e si “immerge” totalmente nella sostanza della nostra vita. Non solo non disdegna di “toccare” la nostra carne, le nostre ferite, la nostra morte. Ma le prende su di sé e le vive pienamente, fino in fondo. Sa che solo così, solidale con la nostra umanità, messo alla prova e soffrendo personalmente, sarà in grado di venirci in aiuto.
Ecco il tuo desiderio, Signore: venirci in aiuto. Guarisci, ti preghiamo, la febbre della nostra superbia, facci rialzare, prendici per mano. Perché anche noi possiamo venire in aiuto a chi ha bisogno, mettendoci non al di sopra, ma accanto, per camminare insieme, e al di sotto, per servire.
Dalla Lettera ai Fedeli [FF 199]
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili e puri. Teniamo i nostri corpi in umiliazione e dispregio, perché noi, per colpa nostra, siamo miseri, fetidi e vermi, come dice il Signore per bocca del profeta: “ Io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e scherno del popolo“. Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio.