Rm 11, 29-36 Sal 68 Lc 14,12-14
“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)
Al centro del vangelo c’è il tema del “banchetto”: non solo il luogo dove Gesù provoca i farisei, ma anche la metafora significativa del regno, motivo di beatitudine per l’umile che vi sa entrare. Le parole del Signore vanno a minare la rigidità delle regole sociali. Come quella di scambiarsi inviti a mensa solo tra persone dello stesso status sociale. Per i ricchi questo “contraccambio” era una garanzia, un modo per guadagnarsi rispettabilità e potere. Fare la carità ai poveri era, sì, un gesto lodevole agli sguardi altrui, ma non certo condividere con loro la casa e la mensa. Anzi, ammettere un povero alla propria tavola voleva dire identificarsi con lui, e quindi perdere onore. Gesù mette in discussione questa mentalità e pone al centro proprio i poveri, coloro che non potranno mai “ripagare” il dono, perché non hanno nulla. Ricorda ai commensali qual è la vera beatitudine: non “dare” qualcosa al povero, ma farsi povero con lui, condividere ciò che si ha e ciò che si è, con cuore gratuito e libero. Riconosciamoci possessori di nulla, donando ai fratelli la nostra stessa vita.
Dalla Leggenda perugina [FF 1547]
«Carissimi fratelli e figli miei, non arrossite di uscire alla questua, poiché il Signore si fece povero per amor nostro in questo mondo. È sull’esempio di Lui e della sua Madre santissima che noi abbiamo scelto la via della vera povertà: è la nostra eredità questa, acquistata e lasciata dal Signore Gesù Cristo a noi e a tutti quelli che vogliono vivere come Lui nella santa povertà».


















