Lunedì XXIX Settimana del Tempo Ordinario
Ef 2,1-10 Sal 99 Lc 12,13-21
Nell’Antico Testamento la ricchezza era considerata un segno della benedizione di Dio. Gesù tuttavia in tutta la sua vita e nelle sue parole mostra una predilezione per i poveri. La ricchezza infatti è troppo spesso motivo di divisione, come mostra l’episodio del vangelo, in cui due fratelli sono in lite per l’eredità. “L’attaccamento al denaro infatti, è la radice di tutti i mali” (1Tm 6,10) perché da l’illusione di essere padroni della propria esistenza e di poter disporre della propria vita a piacimento. Gesù viene a liberarci da questo inganno, smaschera questa illusione di potere e ci ricorda la verità: siamo creature nelle mani di Dio. La ricchezza materiale è un bene di cui disporre sempre come amministratori, mai come padroni. Ogni bene di cui disponiamo ci è donato affinché noi possiamo condividerlo e così mettere da parte “un tesoro sicuro nei cieli”, la ricchezza della carità, che non ci divide ma ci unisce, che non si perde ma resta per sempre.
Tu sei tutto Signore, ricchezza nostra a sufficienza
Dalla Leggenda maggiore di San Bonaventura [FF 1143]
Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò un povero. Francesco, a causa della malattia, portava sopra l’abito un certo mantelletto. Mirando con gli occhi misericordiosi la miseria di quell’uomo, disse al compagno: «Bisogna che restituiamo i mantello a questo povero: perché è suo. Difatti noi lo abbiamo ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi». Il compagno però, considerando lo stato il cui il padre pietoso si trovava, opponeva un netto rifiuto: egli non doveva dimenticare se stesso, per provvedere all’altro. Ma egli: «Ritengo che il Grande Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto indosso a chi è più bisognoso».