Lunedì III Settimana di Quaresima
2Re 5,1-15a Sal 41-42 Lc 4, 24-30
Gesù, nella sinagoga di Nazareth, dopo aver letto un passo del profeta Isaia annuncia che la scrittura si è compiuta, è Lui il Messia tanto atteso, venuto a compiere la promessa di gioia, di libertà, di grazia. Ma i nazaretani non possono crederlo. Lui è il figlio di Giuseppe! E vorrebbero che egli compisse segni in mezzo a loro, che mostrasse con potenza la sua autorità. Così Gesù li invita a riconoscere che la salvezza è grazia, non pretesa. Che la storia dei grandi profeti insegna che ogni profeta non agisce per sé ma risponde a Dio. È Dio che sceglie nella Sua libertà come mostrare e svelare la Sua salvezza.
L’esempio di Eliseo ci riporta alla storia di Naaman il Siro, e ci mostra come questa durezza di cuore sia una condizione che ci riguarda tutti. Lo sdegno dei nazaretani è lo stesso sdegno di Naaman. Anche lui stava per rifiutare la guarigione: «si sdegnò e se ne andò dicendo: “Ecco, io pensavo…”». Anche lui, come a volte anche noi, aveva le sue ragioni, che opponevano resistenza a una grazia che si faceva semplice, ricevuta in dono.
Donaci, o Padre, un cuore semplice, che sappia accogliere Gesù e imparare da lui l’umiltà e la gioia di essere piccoli.
Dalla Lettera ai fedeli [FF 199-200]
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili e puri. E teniamo i nostri corpi in umiliazione e dispregio, perché noi tutti, per colpa nostra, siamo miseri e putridi, fetidi e vermi […]. E tutti quelli e quelle, che continueranno a fare tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli porrà in loro la sua abitazione e dimora.